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IL MATRIX DI ZELENSKY

Nella guerra Ucraina si combatte parallelamente la battaglia all’ultimo sangue della comunicazione, tra gli eserciti della propaganda e dell’informazione.“Zelensky ha letteralmente stracciato l’avversario nei media. Ma nei fatti è impotente nel caso in cui l’ego smisurato dello zar spingesse sull’acceleratore”. A parlare è Andrea Fornai, psicologo cognitivo e docente di Master, ha collaborato con CMRE NATO e Unipi. Che si è prestato a rispondere alle nostre domande.
Quanto è pericoloso che la guerra veicoli un messaggio ingannevole?
Le fake news sono sempre degli oggetti pericolosi. E la verità è sempre labile in questi casi. L’invasione non ha scusanti. Sbaglia però chi non considera l’Ucraina un “avamposto” NATO, fuori dalla NATO. Il tema della neutralità è materia, non a caso, dei negoziati in corso. Poi c’è un aspetto “invisibile” che spesso viene sottaciuto, in questo conflitto sono schierati battaglioni di ingegneri informatici che, grazie alla rete, possono “spegnere” una regione di un paese per giorni, una centrale elettrica ed anche una centrifuga di una centrale in Iran. Anche loro, a loro modo, combattono.
Con l’invasione molti temevano che l’accesso al web dell’Ucraina sarebbe stato interrotto, invece il miliardario statunitense Elon Musk ha aperto il suo servizio internet satellitare al paese, cosa rappresenta questo episodio?
La modalità di “ingaggio” di Elon Musk da parte del vice ministro ucraino Mykhailo Fedorov è avvenuta tramite un tweet. E la risposta di Musk è stata recapitata sempre attraverso il social: “Starlink è adesso attivo per l’Ucraina!”. Allora, mi chiedo: il governo di Zelensky per rivolgersi al super miliardario statunitense ha bisogno di un tweet? Io direi che ci troviamo nel mezzo ad una operazione di marketing aziendale dalla ricaduta di visibilità mondiale. Aggiungo che da anni ormai i “boss” del mercato digitale americano siedono al tavolo con le forze armate per pianificare le strategie e le necessità tecnologiche del futuro. Starlink è un’idea geniale del nuovo Ford americano, e a questo punto è anche una formidabile arma testata, in mano al Pentagono.
In mezzo a tutta questa propaganda come realmente facciamo a capire chi vince sul campo?
Partiamo dalla realtà dei dati. La Russia ha schierato un numero inferiore a tre combattenti per ogni soldato ucraino, presunto. Teniamo conto che l’ultima volta gli USA attaccarono l’Iraq erano in nove contro uno. Parafrasando Nicolai Linin: i russi in Ucraina stanno addestrando i loro battaglioni di riservisti, dopo questa guerra la Russia avrà un esercito di reduci operativo e professionalmente preparato. Se ciò che dice Lilin è credibile è perché suona logico. Per capire quanto accade non ci si può davvero fidare completamente del megafono di una delle due parti, o tre se consideriamo l’Occidente. Personalmente, interpreto il piano della Russia come la volontà di assediare intenzionalmente l’Ucraina, in attesa di giocare successivamente le contromosse. Non è una guerra lampo. Altrimenti, Putin avrebbe sbagliato i conti, grossolanamente.
In queste ore ad impressionare è la resistenza di un popolo sotto attacco e la voce del suo leader, ma le due cose vanno veramente in parallelo? Zelensky è più cercato dal web o dagli assassini di Putin? Come spiegheresti il suo successo mediatico sull’avversario?
Senza Zelensky la resistenza non avrebbe i risultati che ha. Ma quale Zelensky? Il vero quarantaquattrenne attore della serie Servitore del Popolo o lo statista nazionalista e populista capace di coalizzare gli ucraini? Per me Zelensky è l’attore prestato alla presidenza ed oggi rappresenta la nuova frontiera dell’uso del web. Sicuramente lo zar Putin (nella migliore tradizione stalinista) ha i migliori sicari del mondo a sua disposizione. Ma dove li deve spedire? Il “matrix” della comunicazione ucraina non ha luogo e non ha tempo. Ecco, il successo ucraino sta tutto qui, nella incredibile capacità di Zelensky di interpretare il servitore (e aggiungerei martire) del popolo. La capacità di chi lo nasconde di farlo essere a Kiev e in nessun posto allo stesso tempo è superba.

LA PACE SECONDO BENNETT

Il viaggio a Mosca del premier israeliano Naftali Bennett per incontrare Vladimir Putin rappresenta il primo vero tentativo internazionale di una mediazione terza nel conflitto ucraino, dopo i tentativi di Londra, Berlino e Parigi. Che peccavano agli occhi di Mosca di sfacciata partigianeria pro Kiev. Bennett è un politico di destra, e non è certo una colomba. 
Cresciuto alla corte di Netanyahu e poi suo successore al vertice di un governo di larghe intese, ha come obiettivo interno quello di chiudere per sempre l’epoca del signore del Likud. Ufficiale dell’esercito e giovane rampante businessman. Ebreo osservante che per una volta, preso atto della gravità mondiale delle crisi, ha rinunciato a rispettare la regola di non lavorare durante lo Shabbat, ed è volato in Russia con un messaggio di pace. Investito di quel ruolo di capo negoziatore che sino ad oggi, fatta eccezione per Macron, nessuno ha provato realmente ad intestarsi.
Israele è, per certi versi, in una posizione ottimale per garantire credibilità alla trattativa tra lo zar russo e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. E non solo. Può considerarsi tra i pochi paesi ad aver mantenuto canali di comunicazione aperti sia con Mosca che con Kiev. Ma è anche casa di un milione di ebrei di origine russofona. Ampia e diversificata comunità (moldavi, bulgari, ucraini e russi) che esprime un partito nazionalista presente nella Knesset ed ago della bilancia dell’esecutivo di Bennet. Il quale ha tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti sia con la Russia, per la presenza nel vicino suolo siriano dei suoi soldati, che con Washington, con cui stringe un patto indissolubile. 
La pseudo “neutralità” di Bennett ha comunque prestato il fianco a critiche interne, tacciato di essere troppo prudente. Posizione, tuttavia, risultata determinante nel sottile spiraglio del dialogo. “Un obbligo morale”, dove a vario titolo entrano le problematiche di sicurezza degli ebrei ucraini e russi. I primi sotto le bombe e i secondi stretti in un regime totalitario.
Merita attenzione, per capire la strategia diplomatica messa in campo da Bennett, la composizione della delegazione presentatasi al cospetto dello zar. Il premier ha scelto di farsi accompagnare da Zeev Elkin a cui spettava il ruolo di traduttore “ufficiale”, ma l’attuale ministro dell’Edilizia a ben vedere era caricato di un secondo mandato, essendo nato a Kharkiv in Ucraina, dove un ramo della sua famiglia vive ancora. Mentre, Shimrit Meir consigliera politica del premier, rappresentava indirettamente le “istanze” della Casa Bianca. Infine, Eyal Hulata, l’ex agente del Mossad e consulente alla sicurezza nazionale. Scelto ovviamente per valutare con fredda lucidità gli effetti negativi della guerra su Israele e capire le reali intenzioni di Putin. La tattica dell’erede di Netanyahu è molto rischiosa, la possibilità di inimicarsi entrambe le parti è altamente probabile. I vantaggi di un suo successo però sarebbero altrettanto straordinari, sia in patria che fuori.