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LO SCHIAFFO DI ERDOGAN

Nel vertice di Bruxelles l’Unione Europea e la Turchia hanno trovato un accordo generale, ma solo nei principi, sul piano per alleviare la crisi dei migranti. Forti perplessità sono state espresse dall’Unhcr (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), che ravvede violazioni al diritto internazionale, e la decisione finale è stata posticipata al 17 marzo a causa dei nuovi diktat presentati da Ankara. Il governo presieduto da Ahmet Davutoglu ha alzato l’asticella delle richieste, una prova di forza: costi per il rientro dei migranti irregolari in suolo turco a spese degli europei, per ogni siriano riammesso un’altro profugo smistato in un paese dell’Unione. Inoltre l’Europa dovrà erogare altri 3 miliardi oltre ai 3 stanziati per il fondo rifugiati. Libera circolazione per i cittadini turchi, sollevando l’obbligo di visto e accelerare i negoziati per l’ingresso della Turchia in Europa. L’ultimo punto, uno schiaffo all’Europa, è il più difficile da digerire per le ripetute inadempienze sui diritti umani e la libertà di stampa. In ultimo il caso del giornale Zamana la cui linea editoriale è stata “ammorbidita” con l’uso della polizia. La Turchia, a lungo fedele alleato degli Stati Uniti e membro strategico della NATO, ha svolto un ruolo fondamentale e delicato nella difesa dell’Europa e del Medio Oriente sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Teatro del conflitto della Guerra Fredda con l’Unione Sovietica ieri e della guerra civile siriana con l’ingerenza Russa oggi. Una potenza con carattere deterrente in grado di frenare qualsiasi mira espansionistica in Medioriente. La presenza della Turchia nella NATO è fondata su un principio di reciprocità: la Turchia mette a disposizione le strutture logistiche nel suo territorio, mentre il blocco degli alleati occidentali fornisce tecnologie e assistenza militare ed economica. Il patto di ferro è andato scricchiolando con l’aggravarsi dello scenario siriano e per l’impegno bellico di Ankara in Siria: attualmente l’esercito turco ha aperti due fronti di guerra. Ha trasformato le città curde nel sud-est della Turchia in zone militarizzate, nello sforzo di rimuovere i militanti indipendentisti curdi presenti in quella regione. E ha lanciato attacchi con intensivi bombardamenti contro le forze curde nel nord della Siria. La lotta all’eterno nemico curdo ha convinto Ankara ad intavolare segrete, nemmeno troppo, alleanze con gruppi fondamentalisti islamici. È di pochi giorni fa la pubblicazione di un documento ufficiale, la cui autenticità non è ancora stata tuttavia riscontrata, che dimostra il sostegno della Turchia al transito dei foreign fighter. Il ministero degli interni avrebbe fornito le disposizioni per l’appoggio logistico ai jihadisti ceceni e tunisini di Jabhat al-Nusra, da utilizzare in chiave anti curda in territorio siriano. La denuncia dei legami con l’Isis ha provocato in questi mesi non poche grane al governo turco che ha risposto alle critiche internazionali con censure alla stampa interna: il direttore Can Dundar e il caporedattore Erdem Gul del quotidiano Cumhuriyet sono sotto processo per aver pubblicato fotografie di convogli mentre trasportano, probabilmente, armi dalla Turchia ai jihadisti. I due giornalisti rischiano la pena dell’ergastolo. Nella “classifica” sulla libertà di stampa, stilata da reporter senza frontiere nel 2015 in 180 paesi, la Turchia è al 149° posto. Le organizzazioni non governative denunciano che più di 30 giornalisti sono attualmente detenuti in cella, giornalisti terroristi l’accusa. Nelle elezioni del 2002 molti analisti plaudirono alla pluralità partitica presente nello scenario turco, espressione, si pensava, di una transizione democratica. L’ascesa di Erdogan e del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo Islamico-conservatore (AKP) chiudeva il lungo periodo kemalista. L’AKP smantellò il sistema di controllo del potere dell’esercito, introducendo normative atte a ridimensionare l’influenza politica della gerarchia militare. Ebbene, quello che pareva un processo di democratizzazione e civiltà oggi merita attenta riflessione prima di tutto di quella Europa che deve decidere l’ingresso della Turchia nella sua Comunità.