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TRUMPISMI ANTI IRAN

La visione globale di Trump prende forma. I nemici, uno ad uno, vengono bersagliati dalla propaganda dell’inquilino della Casa Bianca a partire dalla Corea del Nord e dal suo dittatore. Sfortuna vuole che il tycoon si sia scaraventato con veemenza anche contro i trattati di Parigi sul clima e l’agenzia dell’Unesco, minacciando di ritirarsi da entrambi. Poche ore prima che Audrey Azoulay ex ministro della Cultura francese venisse nominata a capo dell’organizzazione dell’ONU per la tutela del patrimonio ambientale e culturale, sparigliando le carte del candidato qatariota, non gradito da Israele. La svolta di Azoulay è una vittoria non solo francese ma di una parte del mondo arabo che guarda con timore all’espandersi dell’egemonia iraniana in Medioriente. Dal canto suo Trump quotidianamente e con metodicità sfida le politiche del suo predecessore, scavando un solco profondo con la geopolitica di Obama. Il neo presidente a stelle e strisce sposa le tesi dell’amico e alleato Netanyahu, alzando il livello di tensione con il “diavolo” iraniano. Non certifica l’intesa sul nucleare e rimanda al Congresso la decisione su nuove sanzioni. Indica a grandi linee, senza entrare troppo nei dettagli, gli obiettivi: isolare Teheran. All’orizzonte si delineano quattro possibili scenari: l’introduzione su larga scala di nuove sanzioni. La guerra. Il rovesciamento del regime degli Ayatollah. La definizione di un nuovo programma distensivo.
Forse la vera intenzione trumpiana è trasformare gli stati sunniti limitrofi in un muro di contenimento, in grado di sopportare, anche autonomamente, un conflitto bellico con il mondo sciita. Per rendere concreto l’isolamento dell’antica Persia è indispensabile il totale appoggio dei Paesi del Golfo. Purtroppo per Trump qualche scricchiolio si è fatto sentire nelle relazioni tra Qatar ed Arabia Saudita, con una crisi diplomatica che stenta a trovare una soluzione. E con Doha che guarda con sempre maggiore attenzione alle lusinghe turche e iraniane. La cooperazione e la solidarietà tra stati arabi non sono un modello di affidabilità, bensì un limite. Un elemento di frizione nella regione è anche la questione curda, dove aleggia l’incognita e la paura. Erdogan non accetterà l’indipendenza del Kurdistan e nemmeno l’Iran è disposto a lasciare spazio vitale al nazionalismo curdo. Turchia e Iran hanno sviluppato un’interazione simbiotica, i secondi forniscono gas e petrolio, il primo è la porta d’accesso all’Europa, interrompere questi canali di scambio è al momento impraticabile. Inoltre, i sauditi, recentemente armati di tutto punto da Trump, sono impantanati in una guerra in Yemen che non riescono a risolvere, dimostrando che le loro forze armate non sono assolutamente preparate ad interventi militari esteri. La difesa è una cosa, l’invasione un’altra.
L’attuale guida iraniana Hassan Rouhani è considerata da gran parte della Comunità internazionale riformista e moderato, rispetto ovviamente all’indirizzo dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad: l’uomo che voleva possedere la bomba. Rouhani è stato accolto e riverito durante i suoi viaggi d’affari nel Vecchio Continente. Un muro contro muro tra il leader iraniano e Trump (coadiuvato da Netanyahu) non è ben visto dall’Europa. Non è un caso che l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione Federica Mogherini ha immediatamente preso le distanze dall’amministrazione statunitense, rimarcando centralità e necessità dell’accordo sul nucleare con l’Iran. I dissapori tra USA e Iran hanno una lunga storia, e qualche pagina nera di troppo. Questo non vuole dire che sono due realtà inconciliabili, Obama e Kerry infatti dettero prova del contrario. È vero tuttavia che il monolitico controllo, politico e religioso, esercitato dal supremo leader l’Ayatollah Ali Khamenei avvicina il paese ad una dittatura e non certo ad una democrazia. Troppo spesso chierici e militari iraniani hanno fatto uso della retorica bellicosa accostandola all’antisionismo. Ideologie e approcci sbagliati per un Medioriente in pieno caos.