“Fondamentalmente il Sionismo è nato con lo scopo di riportare il numero più alto possibile di Ebrei in terra d’Israele aspirando ad uno stato indipendente dalle caratteristiche simili a quelle di ogni stato nazionale dell’Europa, che era allora il modello dei primi sionisti. Il significato del Sionismo non è cambiato, ma la Guerra dei Sei Giorni e la conseguente occupazione del West Bank, hanno posto questa ideologia di fronte a nuove e difficili domande: è giusto, necessario e degno che lo stato nato dallo sforzo del Sionismo, domini un altro popolo? Personalmente penso che al Sionismo, nato per liberare il popolo ebraico, sia vietato di dominare un altro popolo ed è su questo punto che verte la discussione che è così viva e profonda nella società israeliana: sulla scelta fra il “Sionismo portatore di libertà” e il “Sionismo dominatore”.” Sono le parole di Zeev Sternhell, storico israeliano. Militante del movimento pacifista e insignito del premio Israele per le scienze politiche nel 2008. Mentore della sinistra, è opinionista per vari quotidiani, commentatore attento e critico alle problematiche di Israele. “Sulla questione del futuro del Sionismo, la società israeliana è divisa circa a metà e le recenti elezioni hanno ancora una volta confermato questo fatto. La vittoria di cui tanto si parla è un risultato personale di Netanyahu che è riuscito a convincere gli elettori tradizionali della destra a convogliare sul suo partito, il Likud, i voti che precedentemente erano stati distribuiti fra i vari partiti di questo raggruppamento. Anche nella sinistra il partito laburista si è rafforzato a discapito dei partiti che gli sono ideologicamente più vicini. I due raggruppamenti – quello della destra e quello della sinistra – escono da queste elezioni, ancora una volta, come entità di dimensioni simili, con un leggero vantaggio per la destra. Alla domanda su dove può portare questa polarizzazione della società israeliana, le devo rispondere purtroppo che sono sempre meno ottimista. Anche se questa maggioranza della destra ha margini minimi, rimane ancora maggioranza e permetterà al “Sionismo dominatore” di rimanere al potere, di perpetuare la situazione in cui Israele è democrazia per noi stessi ma non per i Palestinesi, di mantenere l’occupazione dei Territori e di continuare a colonizzare le terre dei Palestinesi e a tenerli in una forma di apartheid. Temo che il nuovo governo riproporrà la “Legge sulla Nazionalità”, che ha in sé il potenziale di discriminare gli Arabi israeliani, cercherà di ridurre al minimo l’influenza della Corte Suprema [che in Israele ha anche funzione di Corte Costituzionale n.d.r.] e in generale di influire sugli orientamenti educativi, culturali e mediatici sostenendo che non riflettono e anzi contraddicono il volere democraticamente espresso dal popolo nelle elezioni. A questo si sta avviando la società israeliana e la mia paura è che un numero sempre crescente di persone e in particolare di giovani, si chiederà se questo è veramente il paese in cui vogliono continuare a vivere.” Secondo lo studio della ong Peace Now il 2014 è l’anno dei record di gare d’appalto israeliane nei Territori Palestinesi Occupati della Cisgiordania e Gerusalemme. I bandi per costruire nuove unità abitative sono stati 4.485 con una crescita annuale dei coloni in territorio palestinese del 5,5%. L’espansione coloniale ha copiato per certi versi il modello di radicamento nel territorio dei pionieri kibbutnik, ma con una filosofia assai diversa. “C’è una forte somiglianza fra i due fenomeni, soprattutto per la assoluta sproporzione fra le dimensioni numeriche e la reale influenza politica. Tutte le organizzazioni cooperativistiche insieme, nel loro periodo di maggiore espansione, non hanno mai superato il 6-7% della popolazione israeliana. Le persone che vivono oggi nei territori al di là della linea verde sono circa 350.000 ma per la stragrande maggioranza di loro si tratta di una scelta economica, fatta per sfruttare le facilitazioni fiscali e i ridotti costi abitativi e dell’edilizia. I coloni “ideologici” sono poche decine di migliaia di persone che rappresentano una percentuale minima della popolazione israeliana ma che sono rappresentati nell’ambito della destra da un intero partito (Habayt Hayeudi) e dalla presenza come forza secondaria di sostenitori anche in tutti gli altri partiti della destra. E’ una forza che viene dalla propria ideologia assoluta, incrollabile, dalla certezza di essere nel giusto, senza dubbi. Tutto quello che manca da anni alla sinistra”. Nel settembre del 2008 il professore Sternhell è rimasto ferito in un attentato contro la sua persona. La matrice politica dell’azione terroristica risale alle frange dell’estrema destra israeliana. Il grave crimine non ha tuttavia smussato la passione civile di Sternhell, tutt’altro. “La legislazione influenzata e incoraggiata dalla “rivoluzione costituzionale” di Aharon Barak negli anni novanta, ancor prima che fosse scelto come Presidente della Corte Suprema, definiva Israele come stato ebraico e democratico in cui la maggioranza è ebraica e il sistema democratico assicura che tutti i cittadini godano degli stessi diritti. Quello che la Legge sulla Nazionalità farà, se verrà approvata, è stabilire l’esistenza di due comunità – una ebraica nazionale, l’altra civile più estesa, comprendente tutti gli altri, compresi gli Arabi. In caso di contraddizione o scontro fra gli interessi delle due comunità, quella nazionale ebraica godrà automaticamente della preferenza. La “nazionalità ebraica” diventerebbe una categoria giuridica alla quale la stessa Corte Suprema sarebbe sottoposta. Quello che farà la differenza nell’operato del prossimo governo sarà la omogeneità o meno su posizioni di destra. Se non ci sarà qualcuno ad arginare queste iniziative, come è stato con Lapid e la Livni negli ultimi governi, questa legislazione prenderà corpo e metterà in serio pericolo la democraticità di Israele.” Tra il 1990 e il 2000 approdarono in Israele ottocentomila cittadini dell’ex Unione Sovietica. Il primo mezzo milione si riversò nel paese nel giro di appena tre anni. Nel loro complesso determinarono un incremento demografico di circa un quinto rispetto alla popolazione israeliana di fine anni Novanta. Il direttore dell’Agenzia ebraica, l’ente che si occupa di accogliere e favorire l’integrazione in Israele degli ebrei che scelgono di fare l’aliyah (andare a vivere in Israele) ha dichiarato che dal 2010 al 2014 sono arrivati in Israele circa 100 mila nuovi immigrati, ben 245 mila negli ultimi dieci anni. Dati alla mano sempre più ebrei lasciano l’Europa dove la convivenza peggiora anche a causa del perdurare del conflitto israelopalestinese. “Non penso che l’immigrazione dall’Europa assumerà le proporzioni di un’ondata, certo non come quelle che abbiamo conosciuto dopo la fondazione dello Stato nel 1948 o con l’arrivo di oltre un milione di Russi dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Da una parte gli Ebrei europei hanno radici molto ben piantate nei paesi in cui vivono e dall’altra l’antisemitismo in Europa non ha ancora raggiunto proporzioni che spingano gli Ebrei a fuggire frettolosamente dalle proprie case e attività. La crescente presenza e influenza islamica potrebbe fare da ulteriore catalizzatore, laddove i musulmani identificano gli Ebrei con la politica di Israele e questi diventano “le vittime” dell’odio nei confronti dello stato ebraico. Siamo insomma di fronte a un paradosso e cioè che Israele non solo non è una soluzione per questi Ebrei, ma diventa anche un problema. Credo comunque che arriveranno alcune decine di migliaia di persone, per lo più appartenenti agli strati sociali medio-bassi, molti di questi religiosi. Un pubblico già ben identificato con il centro destra, che non avrà nessun problema ad inserirsi in questa fascia politica con la cui ideologia si riconosce. E la destra ne uscirà ancora più rinforzata.”
Passo tratto da Voci da Israele, L’Espresso ebook, 2015.
Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi