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L’ORA DI GANTZ DOPO LA MEZZ’ORA DI NETANYAHU

Il futuro governo di Israele è sospeso tra la paralisi del parlamento e il rischio di ritorno alle urne per la terza volta in meno di dodici mesi. Nel mezzo il sempre eterno primo ministro Benjamin Netanyahu che non ha nessuna intenzione di lasciare la scena, costretto, non avendo trovato una maggioranza che lo sostenga, a rimettere il mandato esplorativo per creare un nuovo esecutivo dopo le elezioni di settembre. Nel sistema istituzionale israeliano i margini di manovra del presidente Reuven Rivlin, in situazioni come quella attuale, sono ridotti a tre porte, che la più alta carica dello stato può aprire a suo piacimento: ha offerto al leader del Likud Netanyahu la prima occasione, e poi ha passato ufficialmente il testimone all’altro aspirante premier, il frontman di Kachol Lavan Benny Gantz, anche lui, numeri alla mano, destinato a non andare troppo lontano, a meno che non scelga di infilarsi nel tortuoso percorso di un governo di minoranza con l’appoggio esterno della lista araba e della sinistra sionista. Un’esperimento fragile già provato in passato (da Rabin nel 1992 e Barak nel 1999) e facilmente deteriorabile. Gantz teoricamente ha ancora tempo disponibile per diventare il prossimo primo ministro, se anche l’ex capo di stato maggiore ammettesse l’impossibilità di traghettare il Paese nell’era post-Netanyahu allora, avrebbe strada libera un terzo ed ultimo candidato vincolato ad avere l’appoggio di almeno 61 parlamentari, altrimenti scioglimento della Knesset ed elezioni nei primi mesi del 2020. Il ritorno alle urne sarebbe un boccone amaro sopratutto per Rivlin, impegnato pubblicamente a sostegno della nascita di un governo di unità nazionale, che abbia nei due principali partiti Likud e Kachol Lavan le colonne portanti, con tetto la rotazione del leader. Gantz e Netanyahu in questi giorni hanno avuto modo di sedersi al tavolo, stringersi la mano, guardarsi negli occhi. Rapporti cordiali che non hanno prodotto, almeno per ora, nulla di sostanziale nella trattativa. A dividere gli schieramenti non c’è una tassativa contrapposizione ideologica, il nodo del contendere è la figura di Netanyahu e la sua ferma richiesta di restare l’inquilino di Balfour street, almeno il tempo per proteggersi dagli scandali che lo riguardano: entro dicembre la procura generale dovrà pronunciarsi sulla sua incriminazione per tre casi di corruzione. Intanto, i media pubblicano ampi stralci degli interrogatori. L’arte politica del falco della destra è contornata dalla costante ricerca della sfida nell’arena politica: si è imposto sulla sinistra, ha congelato gli accordi di pace con i palestinesi, ha quindi attaccato gli arabi israeliani, l’Iran, la stampa e infine la magistratura. Appare invincibile anche quando è in realtà debole, relegato, come in queste ore, ad aspettare gli esiti del tentativo di Gantz. Teme che qualcuno possa detronizzarlo, e per questo sono in molti a ritenere che è già con la testa alla prossima campagna elettorale, con lui come star.