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LA VALIGIA DEL COOPERANTE

Alle 9.41 di lunedì 30 marzo nella mia casella di posta elettronica compare una mail, in Italia sono le 4.41. Oggetto: recapiti whatsapp per segnalazione di voli. La missiva è firmata dal corrispondente consolare in Cambogia. Che mi invita a recarmi immediatamente in capitale a Phnom Penh in attesa di un volo di rientro. È iniziata l’evacuazione anche degli italiani. La notizia che aspettavo, non solo io. Ci siamo, si torna. Quasi euforico provo a chiamare la mia compagna. Non risponde, a quest’ora di solito è in sala operatoria. Intanto, incomincio a tirare fuori le valigie. Verifico la disponibilità di un mezzo di trasporto, sei sette ore di macchina, ci separano dalla prossima meta. Avviso gli amici connazionali, la loro reazione è molto contenuta rispetto alla mia, hanno il dubbio su cosa fare. Io da parte mia no. La Cambogia potrebbe precipitare da un momento all’altro nella legge marziale. È meglio tirarsi fuori il prima possibile, prima che la finestra si chiuda definitivamente. Squilla il cellulare, finalmente è lei. Paola è medico anestesista, e lavora presso una struttura sanitaria a Battambang per un progetto di cooperazione allo sviluppo. Da due anni gestisce e istruisce il personale medico locale. Ho giusto il tempo di dirle del piano d’emergenza in corso. Mi chiede: quando? Rispondo: subito! Silenzio. Abbiamo un problema. Il collega che dovrebbe sostituirla è entrato in quarantena. Se lei partisse dovrebbero chiudere le sale operatorie. Dentro di me risuona un deprimente noooo. Lo sapevo: “Mai una gioia”. Non posso nemmeno ribattere, sarebbe di cattivo gusto. Cerchiamo di vedere il lato positivo della cosa. Non c’è. O almeno non riesco a trovarlo. Eppure ci dovrà essere. Poi, una luce. Mi torna alla memoria la limpida foto del dolce sorriso di un bambino il giorno che è stato dimesso dall’ospedale, era saltato su una mina e aveva perso l’arto inferiore sinistro. Fisso l’immagine nella mente. Paola affonda il coltello nella ferita, la bambina che venerdì è stata operata d’urgenza perchè i capelli gli si erano intrappolati in un ordigno infernale, la rudimentale macchina per spremere la canna da zucchero, è ancora sotto sedativi ma sta molto meglio: salva. Guardo la mia valigia, un breve sospiro e con lentezza la ripongo sotto il letto. Non mi servi, non oggi.

Enrico Catassi