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ISRAELE E LA LUNGA ESTATE PRIMA DEL VOTO

In Israele è tensione sociale, a manifestare è la comunità etiope, i Beta Israel o falasha (questa parola nelle sue varie accezioni ha anche il significato di “straniero”). Appartengono alla famiglia dell’ebraismo in quanto rivendicano la tradizione di essere i discendenti del connubio tra re Salomone e la regina di Saba. In 45 mila migrarono grazie and un ponte aereo in Israele dall’Africa nel decennio 1980-1991. Attualmente rappresentano circa il 2% della popolazione. L’episodio che ha provocato decine di arresti e feriti è l’uccisione di un giovane ragazzo da parte di un poliziotto fuori servizio. Il poliziotto dopo aver pagato una cauzione di 1400$ è stato posto agli arresti domiciliari, provocando la rabbia degli israeliani etiopi.

Intanto la macchina politica in vista delle elezioni anticipate a settembre è in moto. Indette in seguito al fallimento di Netanyahu di dare vita ad una maggioranza di governo dopo il voto di aprile. Allora, andò in scena il dramma collettivo del centrosinistra con i laburisti dell’Avodà che ottenevano il peggior risultato di sempre, relegati al 4,02% dei consensi e ad una compagine di 6 parlamentari. Deludente fu anche la performance dell’altro partito socialista, il Meretz, che ottenne solo 4 seggi nei banchi della Knesset. Tre mesi dopo e il campo del centrosinistra è in piena sollecitazione, cambio di vertici. Nel Meretz il giornalista Nitzan Horowitz ha preso il posto di Tamar Zandberg. Mentre, dalle animate e partecipate primarie (65mila iscritti) dei laburisti è uscito il nome dell’ex sindacalista Amir Peretz, esponente della vecchia guardia del partito dei padri fondatori della nazione ed entrato tra i banchi della Knesset nel “lontano” 1988. Peretz già sindaco di Sderot era stato leader dell’Avodà nel 2006 ed ha rivestito, senza non poche critiche, il ruolo di ministro della Difesa dal 2006 al 2007. Quando venne sostituito e spodestato da Ehud Barak. Oggi, ha ripreso le redini del partito avendo avuto la meglio nei confronti dell’ala dei trentenni che ispirò le proteste di massa del 2011, tra cui spiccano due figure di riferimento il “glaciale” Itzik Shmuli e la “focosa” Stav Shaffir. Non unendo le forze hanno lasciato spazio libero ad una facile affermazione di Peretz (47% delle preferenze), intenzionato pare ad aprire all’idea di un’alleanza con il Meretz.

In Israele il quadro politico attuale è di due grandi poli attrattivi: quello di destra che ruota intorno al Likud di Netanyahu (35 parlamentari) e quello centrista della lista Blu e Bianco (35 parlamentari) capitanata dall’ex capo di stato maggiore dell’esercito Benny Gantz. L’obiettivo più plausibile per una “rinascita” del centrosinistra è la nascita di un blocco unico, stessa sorte per i partiti arabi destinati a chiudere il capitolo della faziosa divisione. Il vero dilemma è come riusciranno a fare sintesi l’anima del Meretz guidato dal “rosso” Horowitz, quella dei laburisti di Peretz e infine la neo formazione, di cui non si conosce il nome, lanciata dal militare più decorato di Israele Ehud Barak, ritornato in politica dopo una parentesi dedicata al business della cannabis. E deciso anche lui a sfidare Netanyahu.

Voto israeliano 2015: traguardo volante

Il voto israeliano del 2015 passerà alla storia per aver dato vita, almeno durante la campagna elettorale, alla creazione di grandi coalizioni e aver prodotto non trascurabili rotture interne ai principali partiti. Per la prima volta avversari storici hanno deciso di convogliare a nozze, mescolando i propri candidati in liste congiunte. In ordine cronologico i primi a siglare un accordo sono stati i laburisti dell’Avodà e i centristi di Hatnua. I due partiti insieme rappresentano nei sondaggi la più forte forza politica del paese. Il sodalizio tra laburisti e centristi è scaturito dalla ricerca di erigere un fronte comune alla candidatura di Netanyahu. La popolarità del Primo Ministro è ancora molto alta in Israele. Tuttavia il suo partito il Likud scricchiola. Messo sotto pressione dalle varie costole fuoriuscite in questi anni: a destra dall’ascesa dei nazionalisti di HaBayit HaYehudi, movimento guidato da Naftali Bennet giovane cresciuto politicamente nelle file del Likud, e a sinistra dalla recente scissione e conseguente formazione del partito Kulanu, espressione di Moshe Kahlon già ministro delle comunicazioni e del sociale per il Likud. Entrambi gli schieramenti andranno a pescare nel bacino di voti di Netanyahu. E sarà quindi interessante capire quali danni questa lenta erosione potrà causare alla struttura del partito del premier. Chi non pescherà tra i voti dei delusi del Likud è certamente l’altra unione originata in queste ore. Lo sfaccettato mondo dei partiti arabi, meglio dire dei partitini vista l’esigua entità numerica, ha scelto la via della coalizione. Partiti che storicamente sono stati in perenne lotta tra di loro, che si sono scontrati per una manciata di voti necessari a passare lo sbarramento, per una volta, hanno deciso di unirsi. Il neo listone o listino coagula i comunisti di Hadash, i riformisti di Ta’al, i panarabi di Balad e gli islamici del Ra’am. Atei, laici e religiosi con l’obiettivo di diventare il terzo blocco nella Knesset. Uniti sotto la bandiera dell’anti-sionismo i leader della nuova organizzazione politica hanno dato inizio alla campagna elettorale con una conferenza stampa a Nazareth: “Non riconosciamo l’approccio arabi contro ebrei o ebrei contro arabi. La nostra lista che include sia arabi che ebrei non è contro la società israeliana, ma lotta per la società israeliana.”