La mattina di Venerdì 19 gennaio 2023 alla Casa Bianca, Biden è seduto nel suo ufficio, alla cornetta del telefono. Il capo opposto del filo è a Gerusalemme. Dove intanto è sceso lo Shabbat. “Hello Bibi!”. Netanyahu risponde: “Shalom Joe”. Il motivo della chiamata è ovviamente la guerra a Gaza e le tensioni in Medio Oriente. La voce del presidente statunitense non è squillante e suona depressa. “È un po’ che non ci sentiamo. Ma mi pare che dall’ultima volta le cose non siano cambiate molto. Hai mica pensato hai suggerimenti che ti ho dato?”. Il premier israeliano si affretta a chiarire: “Guarda, ci ho riflettuto (bugia). E non mi pare che l’idea di uno stato palestinese sia una bella trovata. A mio avviso sa troppo di sinistra. Non vorrai mica che mi rimangi tutto quello che ho vomitato addosso a Rabin”. Biden ora è indispettito, quasi arrabbiato: “Allora, cosa proponi?”. Il falco della destra prende la parola: “Beh, ci sarebbero tre o quattro soluzioni che mi frullano in testa. Smotrich avrebbe un progetto per costruire a Gaza un centro residenziale, riportare i coloni a vivere nella Striscia e buttare fuori tutti i palestinesi (oltre due milioni di persone). Nel mio partito (il Likud) c’è invece chi pensa di dividere Gaza in tanti piccoli emirati (meglio se governati da clan che tra di loro non si sopportano). Poi ci sono i militari che propongono una fascia di sicurezza, che io indicativamente estenderei ad una ventina di chilometri (nel punto più ampio dal mare Gaza misura 12 km). Comunque, mi sembrano tutte alternative molto interessanti da sviluppare, che dici?”. Non c’è risposta, silenzio. “Hey Joe ti sarai mica addormentato? Pronto?”. Passano i minuti e si sente finalmente una voce: “Primo ministro di Israele mi spiace informarla che il nostro presidente è svenuto, lo stiamo rianimando”. Netanyahu è allarmato dalla notizia sulle condizioni del suo amico. “Mi dispiace. Facciamo così quando si è ripreso gli riferisca pure che la telefonata per me è andata bene, e che non si stia a preoccupare tanto finirò la conversazione con Trump”.
Dalla finzione alla realtà, 40 minuti di colloquio “cordiale”: “Il Presidente e il Primo Ministro hanno discusso degli sforzi in corso per ottenere il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti detenuti da Hamas… Il presidente ha anche presentato la sua visione di pace e sicurezza duratura per Israele, pienamente integrata nella regione, con la soluzione a due stati”. Il commento ottimistico di Biden ai giornalisti: “Ritengo che saremo in grado di trovare una quadra”. La precisazione non proprio diplomatica di Netanyahu sui social: “Non scenderò a compromessi sul pieno controllo della sicurezza israeliana su tutto il territorio a ovest del fiume Giordano, e ciò è contrario a uno stato palestinese”. Chiarissimo. D’altronde è lo stesso concetto espresso, in modo istituzionale, dal presidente Herzog al forum di Davos, pochi giorni fa: “Nessun israeliano sano di mente sta pensando al processo di pace in questo momento”.
Quello che attualmente pensano gli israeliani verte sulla questione degli ostaggi. Una parte di pubblico, scesa in migliaia nelle piazze, chiede l’avvio di una trattativa immediata con Hamas per il rilascio di tutti gli ostaggi. Con la disponibilità ad uno scambio di prigionieri e pronti ad accettare che Hamas partecipi al prossimo governo di Gaza. Nel polo opposto della società c’è chi è convinto che non sia il momento di scendere a patti. Il prezzo della liberazione degli ostaggi è troppo alto da pagare e l’operazione militare deve essere portata a termine. Infine, c’è una fetta degli israeliani che è favorevole al negoziato, ma con due condizioni: “Hamas fuori, sicurezza su Gaza a Israele”. Sulla strategia da tenere il gabinetto di governo rischia di spaccarsi. L’intransigenza di Bibi irrita Gantz e i suoi. Gadi Eisenkot è già in rottura completa. L’attuale maggioranza traballa, il filo che la tiene unita è sul punto di strapparsi. Può accadere ad ogni angolo. Per l’ex premier e pluridecorato generale Ehud Barak è giunto il tempo di indire elezioni anticipate: “prima che sia troppo tardi”. La campagna militare a Gaza corre ormai parallela con quella della propaganda, in modalità “elettorale”, di Bibi.
Mark Lowen corrispondente della BBC da Gerusalemme: “Il primo ministro israeliano sembra aver puntato la sua sopravvivenza in politica attestandosi su una posizione anti-palestinese intransigente. Non può più vendersi come “Mr Sicurezza”, dopo che il peggiore attacco nella storia di Israele è avvenuto nel suo mandato. E così oggi è il turno di presentarsi come “Mr No” allo stato palestinese: una posizione creduta in linea con l’umore generale della gente che, pur essendo disinammorata dal suo primo ministro, è ancora troppo traumatizzata per concepire uno stato palestinese nella porta accanto”. Il prossimo inganno del mago Bibi è convincere gli spettatori a restare pazienti. Ma il trucco non è credibile.