LA DIPLOMAZIA E LA LEGGE DEL SULTANO

In Turchia nel 2023 si svolgeranno le elezioni generali. Il grande banco di prova di Recep Tayyip Erdoğan. Nel Bosforo rispetto alle passate elezioni il clima politico che aleggia è decisamente cambiato. 
Il referendum del 2017 e la vittoria nelle urne l’anno seguente sono oramai solo lontani ricordi dei successi incamerati da Erdoğan, in una lunga carriera politica. Il rischio che venga sconfitto nel voto è una eventualità che prende campo, tanto da convincere lo stesso premier turco ad esortare con toni allarmistici i membri del suo partito Giustizia e Sviluppo (AKP), invitati recentemente a: “lavorare duramente per essere rieletti”. 
Il ticket con gli alleati di governo del Partito del Movimento Nazionalista (MHP) è, al momento, l’unica certezza. Negli ultimi anni la trasformazione della Turchia è andata avanti imboccando una deriva autocratica ma non riscuotendo un ritorno in termine di consensi. Da un lato Erdoğan ha forzato la mano attraverso il cambio di sistema della repubblica, da parlamentare a presidenziale, e dall’altro ha introdotto politiche di riduzione dei diritti. In un contesto dove la pandemia ha solo accentuato le crepe di un modello economico sotto evidente stress. 
Ankara, oggi, affronta la peggiore crisi economica dal 2002. L’inflazione è balzata al 36,1%. La lira turca si è deprezzata. Il presidente islamista resta inamovibile nel voler tagliare i tassi d’interesse, per abbassare i prezzi di consumo, che invece salgono. Scelta economica decisamente azzardata in un quadro internazionale come quello attuale. Rimane innegabile che l’ex sindaco di Istanbul ha un problema di fondo sia con i curdi che con la libertà di stampa. 
Nel tentativo di silenziare l’opposizione non risparmia nessuna voce. Arrivando persino a situazioni che scadono nel tragicomico, come l’arresto della giornalista Sedef Kabaş. Colpevole di aver twittato ai numerosi follower il seguente proverbio: “Quando il bue giunge a palazzo, non diventa un re. Ma il palazzo un fienile”. Frase che Erdoğan ha ritenuto talmente lesiva da non poter rimanere “impunita”. Per la Kabaş, già in passato incriminata per aver espresso dissenso e critica, potrebbe presto arrivare una condanna.
L’offensiva lanciata da Erdoğan per imbavagliare l’informazione è identica a quella messa in atto sistematicamente da Putin, due leader che nel loro cammino hanno scoperto di avere molti interessi in comune. Lo storico riavvicinamento tra Mosca e Ankara, che pone tuttavia un problema oggettivo alla NATO, è allo stesso modo fragile. Il sodalizio ha retto su scenari internazionali come la Siria e la Libia, dove sono schierati su fronti opposti. I rapporti tuttavia si potrebbero complicare a causa della crisi tra Russia ed Ucraina nel Donbass. Nel caso il conflitto dovesse acutizzarsi il presidente turco sarebbe costretto a prendere la decisione su quale carro stare: quello di Mosca o quello Kiev. Nel mezzo questa volta difficilmente c’è spazio per barcamenarsi. Erdoğan ci proverà con la mediazione diplomatica, ma non è detto che funzioni.