CAMBIARE IN ISRAELE FORSE E’ POSSIBILE

In Israele è ora di cambiamenti, scelto il successore di Reuven Rivlin alla presidenza ed imboccata la strada di un nuovo esecutivo. Grandi manovre in parlamento, alla Knesset. Isaac Herzog, classe 1960, è stato eletto con plebiscito undicesimo capo di stato. In contemporanea, si sono trovate le fatidiche 61 firme per dar vita al primo governo anti-Netanyahu della storia. Operazione che sulla carta ha messo insieme 8 schieramenti, una mappa che copre destra, centro e sinistra. Dai nazionalisti israeliani agli islamici, estremismi inclusi. Un ventaglio con due figure apicali, il liberale Yair Lapid e il nazionalista Naftali Bennett, intenzionate a voler rivoluzionare l’arco politico, mettendo fine all’era Netanyahu. Intanto, non è andata bene a Miriam Peretz, che non è diventata la prima donna presidente. La Peretz, conosciuta come “Mamma Coraggio” (ha perso due figli in guerra), era la portatrice di un messaggio che mescolava patriottismo e solidarietà, punto di forza della sua candidatura. Soprattutto in epoca di pandemia e con il parlamento spostato a destra. A prevalere è stato l’abile Herzog. Discendente di quella che viene considerata la nobile aristocrazia sionista. Appartiene alla dinastia che ha rivestito i massimi vertici istituzionali e religiosi del giovane stato di Israele: il nonno HaLevi è stato primo capo rabbino di rito ashkenazita. Il padre Chaim ambasciatore all’ONU e poi sesto presidente della repubblica. Lo zio Abba Eban ascoltato ministro degli esteri di Golda Meir, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, tempi di guerra e delicata diplomazia. La tradizione politica è scritta a caratteri cubitali nel DNA di Herzog, anche se l’esperienza nelle file del partito laburista non è stata un successo. Alle elezioni del 2015 affronta Bibi Netanyahu. Sconfitto, cade ed è relegato in secondo piano. Nel 2018 la nomina a capo dell’Agenzia ebraica e la risalita. Da allora si tiene prudentemente fuori dalla scena politica dominata da Netanyahu. Preferisce apparire “imparziale”. Caratteristica che gli verrà utile quando i partiti non presentano un proprio candidato di bandiera, lasciando libertà di coscienza. In Israele il presidente della repubblica è una carica di garanzia, con due prerogative non indifferenti. Offre l’incarico del mandato esplorativo nella formazione di governo. E concede la grazia. Potere quest’ultimo che potrebbe tornare comodo all’attuale premier, in caso i suoi problemi con la giustizia dovessero complicarsi. Il tempo a disposizione di Netanyahu comunque stringe. Non gli resterà che un’unica labile chance di sopravvivenza, organizzare un’imboscata tra i banchi del parlamento proprio sul voto di fiducia al nascente esecutivo. Lapid e Bennett, hanno oramai giocato tutte le carte in loro possesso, adesso non hanno altra strategia da mettere in campo che trincerarsi e resistere all’attacco di Netanyahu. Se tutti, proprio tutti, mantengono la parola potrebbe bastare a fermarlo.