Israele e la crisi politica. Dopo tre gironi elettorali in meno di un anno e la nascita di un governo di larghe intese, nato con lo scopo di gestire la pandemia, le tensioni dentro la traballante maggioranza sono emerse frantumando la coalizione. A Marzo 2021 si torna alle urne per scegliere la composizione della prossima Knesset. E con molta probabilità anche il nome del futuro premier. Fallito per solo due voti il tentativo di posticipare le scadenze sull’approvazione del bilancio 2020-2021, proroga che avrebbe mantenuto in piedi l’esecutivo, il parlamento si è automaticamente sciolto alla mezzanotte del 22 Dicembre, come previsto dalla legge.
La scorsa primavera, dopo le insistenti pressioni del presidente Reuven Rivlin e l’emergenza Coronavirus, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz ha ceduto scendendo a patti con il rivale Netanyahu. Firmando un accordo che prevedeva la rotazione al vertice del governo nel Novembre 2021. Ma che Netanyahu, in molti hanno pensato, non abbia mai avuto nessuna vera intenzione di rispettare. A confermare la reale intenzione i tanti segnali lanciati dal capo del Likud in questi mesi: dalla mancata approvazione proprio del bilancio – nodo cruciale del contenzioso – alla gestione personalistica – e talvolta segreta – della diplomazia internazionale. Fatto sta che a mettere la parola fine a questa legislatura è stato l’intrecciarsi di vari fattori. Due dei quali sono stati determinanti: lo strappo del Ministro della Difesa Gantz che in queste settimane ha aspramente attaccato e criticato Netanyahu, pur lasciando aperto lo spazio per la trattativa. E la scissione del Likud provocata da Gideon Sa’ar. Già da tempo spina nel fianco del falco della destra, ribelle e deciso a mettere fine al regno di Netanyahu.
Gantz, l’ex generale e fondatore del movimento Blu e Bianco (Kachol Lavan), nelle ultime settimane aveva manifestato non poca insofferenza nei confronti dell’alleato-nemico, minacciandolo pubblicamente. Fino ad arrivare ad istituire una commissione nel suo dicastero per investigare sulle presunte tangenti legate all’affare dei sottomarini venduti dalla Thyssen ad Israele. Scandalo dove il premier è chiamato in causa come testimone. Mentre, persone a lui molto vicine sono indagate. Quella di Gantz è stata una vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti di Netanyahu. A far precipitare la situazione c’è voluta comunque l’uscita, polemica, di Sa’ar dal suo partito. Che ha deciso di dar vita ad un suo movimento, posizionandolo tra il Likud e Kachol Lavan. Operazione a cui hanno aderito parlamentari proprio delle due forze, togliendo ossigeno e numeri preziosi alla maggioranza.
Oggi, Israele è diviso equamente tra sostenitori e contrari al più longevo politico israeliano della storia, che nel corso degli anni ha “giocato” contro il centrosinistra, poi lo scontro si è spostato con l’area centrista e infine, a quanto pare, è diventato un duello interno alla destra. Il rapido deterioramento del governo è riconducibile, in parte, al contraccolpo del cambio di clima a Washington. Il declino di Trump ha ovviamente investito l’amico Netanyahu, aprendo il valzer dei posizionamenti.