Tra meno di un mese Israele torna alle urne, per la seconda volta in un anno, evento mai verificatosi nella storia di questo stato. Dopo la dura lezione impartita a Netanyahu per la fallita formazione della maggioranza di governo, in seguito alle passate elezioni di aprile, di nuovo l’elettorato israeliano si trova difronte ad un dilemma: schierarsi pro o contro il longevo statista e attuale premier, catalizzatore del panorama politico. Il falco della destra israeliana affronta la campagna elettorale, l’ennesima della sua lunga carriera di successi, con la sicurezza di poter contare sulla collaborazione dei partiti religiosi e dell’estrema destra.
Il leader del Likud è tuttavia consapevole di essere assediato dai nemici: al centro il principale rivale è l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz in tandem con il noto giornalista Yair Lapid, fondatori del movimento Blu e Bianco (colori nazionali). A sinistra il fronte anti-Netanyahu è variegato e disunito, coprono lo spettro: la lista araba unita (insieme dopo il recente fiasco di essersi presentati divisi) e i due partiti del socialismo sionista, Meretz e Avodà, contrapposti da dualismo perpetuo: Ehud Barak ha tessuto le fila dell’accordo tra il Meretz e pezzi dei fuoriusciti laburisti contribuendo a formare un campo democratico, mentre l’Avodà si è fusa con il partito moderato Gesher.
A destra invece, è interessante la sfida lanciata da Avigdor Lieberman, che con un colpo di coda inaspettato ha impedito in primavera la nascita del quinto esecutivo consecutivo di re Netanyahu, ed ora si propone al pubblico come ponte nella futura nascita di un governo di unità nazionale, tendenzialmente laico, liberal-conservatore e nazionalista. Dove molto difficilmente potrebbe avere spazio Netanayhu, il quale dal canto suo è impegnato in una corsa forsennata per raccogliere i numeri, e i voti, sufficienti che gli consentirebbero di restare sul trono, e affrontare da posizione favorevole i guai giudiziari che incombono sul suo destino.