Un’altra Pasqua senza pace

Alla vigilia della ricorrenza della Pasqua le comunità cristiane del Medioriente affrontano uno dei periodi più difficili e drammatici, tra speranza è sofferenza, della loro storia. Vittime del terrorismo e del fanatismo in migliaia sono in fuga da quelle terre da mesi. È una fuga per la sopravvivenza. È una civiltà millenaria in balia dell’orrore dell’ISIS. Un secolo fa la percentuale dei cristiani mediorientali era del 14,8% rispetto alla popolazione oggi siamo al 4,7%. Sono oltre 100 mila gli sfollati da Mosul e dalla Piana di Ninive che si sono spostati verso Erbil nel Kurdistan. Oltre 300mila i battezzati che hanno dovuto abbandonare le loro case e fuggire dalla Siria solo negli ultimi 4 anni di guerra in Iraq. Questi numeri qualche giorno fa insieme al grido della minoranza religiosa araba sono entrati al Palazzo di Vetro di New York. A parlare è stato il Patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael I Sako: “la cosiddetta Primavera araba ha avuto un effetto negativo per noi. Se solo avessimo potuto lavorare in armonia con il mosaico di religioni e gruppi etnici che compongono la nostra regione, avremmo visto svilupparsi una forza in grado di guidare la regione verso la pace, la stabilità e il progresso.” La voce dell’autorità religiosa è risuonata impietosa nei confronti della politica, contro l’impunità concessa sino ad oggi alle barbarie del fondamentalismo ha chiesto: “pieno sostegno al governo centrale e al governo regionale curdo nella liberazione di tutte le città irachene.” Un intervento accorato, una richiesta d’aiuto per fermare un crimine contro l’umanità che è sotto gli occhi di tutti: “La pace e la stabilità non possono essere raggiunte solo per mezzo di interventi militari; da soli, infatti, essi non possono sradicare questo modo totalizzante di pensare.” Ed infine il Patriarca Soki ha indicato il cammino per un intervento internazionale che tarda a prendere forma e forza: “Approvare una legge che punisca nazioni e singoli individui che sostengono gruppi terroristi a livello finanziario, intellettuale o con le armi; renderli perseguibili e considerare i loro gesti come crimini contro la pace sociale.” Se le richieste della guida spirituale caldea sono state realmente ascoltate dalla platea dei plenipotenziari mondiali lo sapremo nei prossimi mesi. Intanto la Lega Araba si è riunita a Sharm El Sheikh, confermando la linea dura intrapresa nelle ultime settimane da Egitto e Arabia Saudita. L’altro dato rilevante emerso dal summit è l’istituzione di una forza militare unita dei paesi arabi che intervenga in caso di necessità, non accadeva dal 1967, dalla guerra dei Sei Giorni, il nemico allora era Israele. Dalla famosa località turistica del Mar Rosso è stato il presidente egiziano Al Sisi a trarre le conclusioni del vertice: “Preso atto della grande responsabilità che le nazioni arabe hanno di fronte ai nuovi cambiamenti i leader arabi hanno congiuntamente deciso di formalizzare un esercito arabo unito.” 40 mila soldati da dispiegare nelle aree di crisi, ma non in tutte. “L’operazione ‘Decisive Storm’ continuerà finché lo Yemen non recupererà la propria stabilità e sicurezza.” Mentre per quanto riguarda la crisi in Libia Al Sisi ha lanciato un appello alla comunità internazionale: “Chiediamo di aiutare il governo legittimo a difendersi e a lottare contro il terrorismo.” Diplomazia e politica si intrecciano in questi giorni di vigilia di Pasqua. A Gerusalemme domenica scorsa per la domenica delle palme una lunga processione di fedeli ha attraversato la città vecchia per arrivare al giardino del Getsemani. Imponenti le misure di sicurezza dispiegate per una celebrazione gioiosa e festosa. Poche ore prima, nel sud della Palestina, poco lontano dalla città dei patriarchi (Hebron), sulle colline di un piccolo villaggio palestinese coloni israeliani sradicavano decine di piante d’ulivo. Un altra Pasqua senza passi avanti nella soluzione del conflitto in Medioriente, ma la pace come ci ha detto Monsignor Luciano Giovanetti, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per la pace in  Medioriente deve restare l’obiettivo di tutti: “La domenica delle palme porta con se il mistero del Signore: gloria, pace e misericordia. Il Signore entra in Gerusalemme per celebrare la sua passione, ecco questo gesto non  dobbiamo dimenticarlo mai quando volgiamo gli occhi a queste terre in eterno conflitto. Anzi questo ci deve spingere a non perdere la speranza perché molto è nelle nostre mani e nelle mani dei governi, che devono impegnarsi come costruttori di pace nella quotidianità della vita”.