A Trieste scoperto un minorenne italoalgerino pronto a compiere un’azione terroristica, rintracciato in chat. La matrice del terrorismo corre in rete. Lo scandalo Facebook si allarga, “spiati”, consciamente o inconsciamente, 87 milioni di utenti del colosso dei social network. Nell’inganno orchestrato, legalmente, da una agenzia di marketing sarebbero coinvolti oltre 200mila followers italiani, sui cui l’Antitrust ha aperto un’istruttoria. In piena tempesta mediatica lo stesso fondatore Mark Zuckerberg, ammettendo la falla etica del sistema, si è difeso annunciando di aver oscurato centinaia di pagine e profili legati ad una agenzia russa specializzata nel fabbricare messaggi anonimi e provocatori (troll), per diffondere notizie false (fake news) e influenzare elezioni straniere. In questi giorni nel nostro Paese la polizia ha smantellato diverse cellule ritenute jihadiste, composte per lo più da giovani che sui principali social (Facebook, Instagram, Twitter) rilanciano la propaganda della guerra santa, reclutano seguaci, inneggiano al martirio, esaltano il valore ed il coraggio dei combattenti in nome di Allah. Nel mirino degli investigatori la scoperta di profili, collegati a blog e community “intrise di retorica jihadista”.
Nel corso degli anni siamo passati dal periodo in cui l’hacker era un lupo solitario, con una propria ideologia anarcoide, ad una fase in cui agisce all’interno di un branco coeso, più o meno riconducibile a stati, movimenti politici o economici che tesserebbero esternamente le file. La strategia sovversiva è infliggere un danno economico e d’immagine rilevante, causando instabilità politica. Talvolta chiedono un ricatto, di solito in valuta di Bitcoin, difficilmente rintracciabile. L’espandersi dei crimini sul web ha ovviamente innescato una reazione protettiva e preventiva, la cyber security. Società quotate alla Borsa di New York, con un mercato che si stima aggirarsi intorno ai 300miliardi di dollari nei prossimi 7 anni. Aziende di sicurezza che assumono esperti informatici, ingegneri, consulenti militari e professionisti dell’intelligence, impegnati a fronteggiare una guerra quotidiana senza confini. L’obiettivo preferito dai pirati informatici 2.0 è l’aviazione civile.
Nel 2016 a poche settimane dall’esito del voto statunitense l’autorevole quotidiano Washington Post aveva rivelato che l’Agenzia Centrale di Intelligence americana stava indagando sull’intervento diretto del Cremlino nella campagna elettorale, in supporto del candidato repubblicano. Lo spettro degli hacker russi sul voto americano e sull’esito del referendum pro Brexit in Gran Bretagna, sono aspetti su cui fare luce. La portata, sull’uso improprio di dati personali di utenti di Facebook da parte dell’azienda di marketing online Cambridge Analytica, fa capire l’entità del problema. Evidenziando un buco nero nella privacy, nella corretta e libera informazione, ma sopratutto un’incognita per la democrazia.
Lo scorso mese, la polizia indonesiana ha compiuto una serie di arresti per la promulgazione di notizie false sul web, che nasconderebbe una strategia di manipolazione dell’informazione da parte di un’organizzazione fondamentalista islamica, riconducibile alla sigla del sedicente esercito MCA (Muslim Cyber Army). Il gruppo è accusato di voler diffondere odio etnico e religioso. Secondo gli inquirenti l’organizzazione è strutturata intorno ad un gruppo di whatsapp, con due squadre operative: una dedita a diffondere contenuti sul web e l’altra a lanciare virus informatici.
Bugie e mistificazioni che viaggiano incontraste nel più grande paese a maggioranza musulmana al mondo. Mettendo in luce un sistema operativo di matryoshke, con scatole di centinaia di programmi (bot) che agiscono in modo automatico e autonomo per generare, distribuire messaggi propagandistici e virus. Tra la minaccia globale del terrorismo e la possibilità di un voto hackerato, nella rete si nascondono pericolosi programmi criminali.