L’argine che ha separato per secoli i fiumi del cattolicesimo d’Oriente e d’Occidente è crollato. La chiesa di Roma e quella di Mosca si avviano a ricomporre uno scisma millenario, dopo due anni di trattative nascoste, nelle ultime settimane l’accelerazione e la svolta con l’annuncio dell’incontro tra Francesco e Kirill. Cuba il luogo preposto ad accogliere questo passaggio della storia, nessuna sede diplomatica o palazzo di potere ad ospitare l’evento, semplicemente, in perfetto stile Bergoglio, un luogo comune, un aeroporto, quello dell’Avana. Cuba isola ponte come la definì il Papa nel suo recente viaggio, tra nord e sud, est e ovest del mondo, terreno neutro. Cuba anche per Kirill è un luogo neutrale, è parte del nuovo mondo, lontano dalle critiche dell’ortodossia oltranzista che non vede di buon occhio questo incontro. Il colloquio in forma privata durerà due ore, parleranno in spagnolo e russo, affrontando la problematica situazione della persecuzione dei cristiani in Medioriente. Alla fine una dichiarazione congiunta e lo scambio dei doni alla presenza del presidente cubano Raoul Castro. Uno stato comunista e un leader rivoluzionario offrono “asilo” alla religione e alle sue controversie. Basterebbe questo a spiegare che il mondo è cambiato molto e rapidamente. “Sono felicissimo” il commento stringato ma naturale e preciso di Papa Francesco alla notizia. La rottura tra Oriente ed Occidente aveva alla base una discussione puramente teologica sulla natura dello Spirito Santo mentre, la riconciliazione ha una ragione ben più pragmatica: la sicurezza dei cristiani in Medioriente, in particolare modo in Siria. “Auspico, che con generosa solidarietà, si presti l’aiuto necessario per assicurare loro sopravvivenza e dignità …. Solo una soluzione politica del conflitto sarà capace di garantire un futuro di riconciliazione e di pace a quel caro e martoriato Paese” ha avuto modo di dire più volte il Santo Padre. I cristiani arabi sono una minoranza dal futuro oramai troppo incerto, vittime della violenza del terrorismo e della guerra. Il fondamentalismo islamico mette a serio rischio la tradizionale presenza cristiana nella regione. Il faccia a faccia tra il Patriarca e il Papa è un passaggio della storia delle religioni lungamente atteso e ricercato, segue le orme dell’incontro tra Paolo VI ed il Patriarca di Costantinopoli Atenagora a Gerusalemme 51 anni fa, di fatto l’inizio di un nuovo percorso nei rapporti tra cattolici e ortodossi. Fino al 1 Dicembre 1989 quando Gobarciov incontrando Papa Giovanni Paolo II in Vaticano aprì alla libertà religiosa in URSS mentre l’impero sovietico si sgretolava. Queste due tappe cruciali della storia ci permettono di capire quanto lungo è stato il percorso che conduceva a questo evento. Nell’anno giubilare della Misericordia non a caso Francesco sceglie il dialogo e la riconciliazione tra le fedi. Tuttavia, è difficile pensare che l’abbraccio fraterno tra Francesco e Kirill non abbia ricevuto l’imprimatur di Putin, nella speranza del premier di allentare l’attuale isolamento internazionale della Russia. Sulla vicenda Ucraina Papa Francesco è stato un interlocutore di Putin e del Patriarcato di Mosca, senza svolgere un ruolo di parte, ha mediato restando in disparte, cosa molto apprezzata. Infine apertamente ha preso posizione nella vicenda siriana, contrastando l’intervento militare occidentale. La diplomazia vaticana voluta da Francesco è allo stesso tempo poliedrica e multipolare, attenta a non privilegiare taluni contro gli altri e questo rappresenta la dimensione profetica del papato di Francesco. Per il Patriarca di Mosca i nuovi rapporti con Roma avvengono alla vigilia del sinodo Panortodosso, che avrebbe dovuto tenersi a Istanbul ma che l’escalation di tensione tra Mosca e Ankara hanno “diplomaticamente” spostato a Creta. Dove le chiese nazionali ortodosse, le cosiddette chiese autocefale, con quella di Costantinopoli guidata da Bartolomeo cercheranno una nuova, non sempre semplice, mediazione ad un conflitto tutt’ora esistente. Invece, al suo interno la chiesa ortodossa post sovietica affronta le stesse sfide di Francesco: recuperare la fiducia dei fedeli, aprendo la chiesa al nuovo millennio. Anche con l’utilizzo dello strumento mediatico. Per questo durante l’incontro, quasi sicuramente, le due massime autorità religiose mostreranno amicizia e serenità, evitando di affrontare un argomento delicato come la questione delle chiese ucraine devote a Roma. In fondo quello di Cuba è solo “uno scalo tecnico” del lungo viaggio di Bergoglio.
Archivi del mese: febbraio 2016
Un tavolo di pace ancora è possibile
Roma crocevia del futuro assetto politico della sponda Sud del Mediterraneo. Il viaggio del Segretario di Stato americano John Kerry nella città eterna è stato denso di contenuti, al centro dei colloqui questioni delicate come Libia e Siria, a sottolineare l’ultimo atto o tentativo di politica internazionale dell’era Obama. “E lui ora può fare ciò che vuole” libero da vincoli di mandato, l’opinione è di Isaac Herzog, leader del centrosinistra israeliano, rilasciata durante la sua visita romana. Herzog ha presentato a Kerry, in un incontro non ufficiale, un piano strutturato per la ripresa del percorso di pace tra palestinesi ed israeliani che prevede il disimpegno militare dalla West Bank, la fine di fatto dell’occupazione: “separazione” e organizzazione di una conferenza regionale sulla sicurezza in cooperazione con i paesi arabi. “Israeliani vengono uccisi nelle strade e nel mondo vediamo sorgere iniziative surreali e boicottaggi. Il ritiro – dalla West Bank – è il cammino, l’unico, per la soluzione di due Stati.” Il leader laburista, sconfitto nelle passate elezioni da Netanyahu, non è ottimista, non elude il problema del governo di destra che governa il suo paese, a differenza del falco della politica israeliana è consapevole di avere un forte ascendente e un canale privilegiato nei rapporti con Washington. Dove gode di quella amicizia che Netanyahu letteralmente ha portato ai minimi termini, i rapporti tra il leader della Knesset e il presidente degli USA sono pessimi, non c’è fiducia tra i due storici alleati tanto da arrivare, nei passati mesi, ad aperte accuse di spionaggio. Quanto Herzog sia riuscito a convincere il capo della diplomazia della prima potenza mondiale lo capiremo a breve. Intanto c’è tornata alla memoria una vecchia intervista a Khaled abu Awwad, palestinese e pacifista: “Noi e gli israeliani viviamo nel luogo più bello al mondo, eppure non c’è normalità e umanità nel nostro agire.” Khaled ha trascorso un lungo periodo di detenzione nelle carceri israeliane per motivi politici, oggi è considerato uno delle 500 personalità arabe più influenti e in Palestina è impegnato nel promuovere la via della non violenza e del dialogo: “la scelta delle armi è sbagliata, non è con la violenza, con il terrorismo dei kamikaze che raggiungeremo la libertà. C’è un cammino da fare insieme agli israeliani ed è quello del dialogo, dobbiamo sederci e chiarirci una volta per tutte: Qual è il vostro problema? Qual è il nostro problema? Ebrei, cristiani e musulmani siamo su questa terra per costruire e non per distruggere ed uccidere. Pace è una bella parola solo se ha un valore è un contenuto.” Forse hanno ragione Herzog e Khaled una possibilità per mettersi al tavolo, ancora una volta, è possibile. Il problema, a questo punto, è chi invitare.
Boicottiamo Im Titrzu
L’elenco dei firmatari è arrivato a 168. Si, sono tanti gli accademici italiani che hanno sottoscritto un documento per il boicottaggio delle Università israeliane. Un gesto che in queste ore è finito nelle prime pagine della stampa internazionale. Nel manifesto si legge: “le università israeliane collaborano alla ricerca militare e allo sviluppo delle armi usate dall’esercito israeliano contro la popolazione palestinese, fornendo un indiscutibile sostegno alla colonizzazione della Palestina”. L’appello in particolar modo è rivolto contro l’istituto pubblico Technion di Haifa: “il Technion è coinvolto più di ogni altra università”. L’Istituto fondato nel 1912 oggi ha oltre 13 mila iscritti, il 20% degli studenti sono arabi. “Il Technion svolge una vasta gamma di ricerche in tecnologie e armi utilizzate per opprimere e attaccare i palestinesi” questa l’accusa dei firmatari che chiedono “di porre fine a ogni forma di complicità con il complesso militare-industriale israeliano” e “l’interruzione di ogni forma di cooperazione accademica e culturale”. Nel ’23 Albert Einstein divenne il presidente della società del Technion aprendo di fatto la tradizione dei Nobel, ben tre docenti di questa prestigiosa accademia hanno ricevuto la massima onorificenza di Stoccolma. Nel 2015 il Technion era nella lista delle 100 migliori università al mondo, mentre la facoltà di Ingegneria scalava la classifica delle 30 più prestigiose. Il Technion, secondo l’appello degli accademici italiani, è colpevole anche di premiare gli studenti che svolgono il servizio militare e i riservisti. In Israele il servizio di leva è obbligatorio, sia per le donne che per gli uomini di religione ebraica. Nel mirino del manifesto sono anche aziende e multinazionali che collaborano, a vario livello, con l’istituto, la lista nera include: Caterpillar, Elbit System, Rafael Advanced Defence System. E’ innegabile che il bulldozer Caterpillar D9 è utilizzato dall’esercito di Tzhal per radere al suolo le abitazioni dei terroristi e non solo, ma il controllo remoto installato sul mezzo, proveniente dal Technion, è utilizzato per uso civile in molti altri paesi. “Nasce” dal Technion anche il sistema avanzato di protezione dei carri armati israeliani Merkava che abbiamo visto in combattimento nell’ultima guerra di Gaza, ma in dotazione ai mezzi militari degli alleati che operano in Afghanistan contro i talebani. I primi firmatari dimenticano tuttavia di citare importanti studi di settore compiuti al Technion ad esempio: la facoltà di Farmaceutica studia la resistenza degli antibiotici e i fattori di virulenza del batterio stafilococco aureus. Il dipartimento di Ingegneria alimentare ha sviluppato cibi speciali per i bambini affetti da celiachia. Altri studi mirati per Ingegneria biomedica e biotecnolgie sono in fase avanzata e producono benefici umani riconosciuti. Insomma pensare che la soluzione del conflitto israelo-palestinese dipenda da una università è alquanto riduttivo. Le responsabilità politiche del governo di Gerusalemme sono evidenti ma non possono essere fatte ricadere interamente su Israele, altrimenti si entra in un circolo vizioso da cui è complicato uscire. La realtà del contesto insegna che vivere da una parte del muro o dall’altra non è la stessa cosa. Non c’è bisogno di distorcere la verità dei fatti, ma se non si vuole perseguire, come nel caso del manifesto, la strada dell’equivicinanza allora senza prevaricare i diritti degli uni e degli altri sarebbe opportuno agire secondo equidistanza. La cronicità del conflitto produce una gestione che risponde in modo cinico ed ansiogeno agli eventi in corso e allunga i tempi di una soluzione ragionevole, come dimostrano la recente ondata terroristica di matrice palestinese e le politiche del governo di Netanyahu. Un buon appello da sottoscrivere in queste ore sarebbe quello di esprimere tutta la nostra solidarietà in favore degli intellettuali e degli artisti israeliani che sono oggetto della campagna denigratoria, in perfetto stile maccartista, dell’associazione di estrema destra Im Tirtzu: che ha tappezzato di manifesti con i volti degli intellettuali “inquisiti” e la scritta talpe (traditori) i principali centri di Israele. Boicottiamo Im Tirtzu.