IL GIORNO DELLA MEMORIA

Il Giorno della Memoria è il ricordo della Shoah, ed è giusto non dimenticare mai quello che è accaduto. Ma oggi deve essere sempre di più un momento per ribadire che umanità e civiltà devono accompagnarci nella vita. Stiamo vivendo nella nostra Europa un periodo pericoloso di violenza, basta vedere gli ultimi casi: poco tempo fa assalito un ebreo perché indossava la kippah a Marsiglia e a Milano è accaduto un episodio identico, con l’accoltellamento di un ebreo ortodosso. In queste ore il muro della Sinagoga nell’antico quartiere ebraico di Istanbul è stato imbrattato di scritte. Affrontiamo un nuovo radicamento dell’antisemitismo, mentre le voci dei sopravvissuti alla Shoah si stanno spegnendo piano piano, per sempre. Intanto le teorie negazioniste imperversano dentro e fuori i confini del nostro Vecchio Continente, il fondamentalismo fomenta il razzismo in un ciclo di terrore, di morte. E la possibilità di una nuova Shoah incombe. “Io ero convinta che fosse una cosa che non si sarebbe mai ripetuta, mai. Adesso molto meno. Alla gente non interessa sapere, sarebbero pronti domani a rifare le stesse cose”. Parla così Iris Steinmann a Marcello Pezzetti nella raccolta di racconti dal titolo “Il libro della Shoah italiana”. Nei racconti dei sopravvissuti all’Inferno dello sterminio c’è spesso una visione negativa per il futuro: sono conclusioni che devono far riflettere, è un monito da non sottovalutare. Verità da ascoltare e tramandare. “Un giorno la nostra blokova (le donne che controllavano i bambini nei lager, anche chiamate “angeli della morte”) ci ha detto: Vi chiederanno se volete raggiungere la mamma, voi dovete dire di no! … Poi hanno radunato tutti noi bambini e ci hanno chiesto: Chi vuol andare dalla mamma? Mio cugino Sergio è stato fra quelli che hanno voluto raggiungere la mamma. Noi gli abbiamo detto: No, non andare, resta con noi! Ma lui ha voluto andare. Mi sono sempre chiesta se questo ricordo può essere vero, perché non è possibile chiedere a dei bambini: Volete andare dalla mamma? Andra Bucci ha obbedito alla donna che la controllava ed è stata la sua salvezza. Il piccolo Sergio De Simone è stato condotto nel campo di Neuengamme dove i bambini erano usati come cavie per esperimenti, iniettando i bacilli vivi della tubercolosi. Sergio venne impiccato in una scuola di Amburgo pochi giorni prima della fine della guerra, aveva creduto che perfidi uomini volessero fargli incontrare la madre. Questo ha fatto il nazismo con la complicità del fascismo. “Io sono ebrea. Se mi riportassero in campo di concentramento non cambio religione”, commentò Matilde Beniacar. Negare oggi a qualcuno di indossare la kippah è un crimine grave che deve svegliare le coscienze e allontanare il dubbio che possa diffondersi quel torpore che in tempi passati accompagnò la nascita del nazifascimo in Europa. I simboli dell’ebraicità, come quelli della cristianità in Medioriente, in questo momento sono vulnerabili alla violenza del fondamentalismo, quella sottile linea rossa tramandata a così caro prezzo rischia di essere oltrepassata. “Testimoniare per me vuol dire tornare indietro come era una volta, e poi settimane e settimane per riuscire di nuovo a riprendere la vita normale …. se si può dire normale, perchè la vita non è stata più normale per noi”, dice così Shlomo Venezia nel libro di Pezzetti. Il 22% dei partecipanti all’ultima ricerca elaborata dall’istituto SWG in collaborazione con la redazione giornalistica (Pagine Ebraiche) dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, anticipata in queste ore, dichiara che il giorno della Memoria non serve più a nulla. Invece, la percezione generale degli intervistati è che “in Italia il sentimento antisemita resti poco o per nulla diffuso”. Poco non vuol dire mai più.

CALIFFO E SULTANO IN LOTTA

In Turchia non c’è pace, il 2015 si è chiuso con un bilancio molto pesante, si sono susseguiti attentati e forti fibrillazioni politiche. Il 2016 si è aperto con un nuovo attentato nel quartiere culturale di Istanbul. La strage è un messaggio all’Occidente: il terrorismo fondamentalista vuole uccidere i turisti europei, danneggiando l’industria del viaggio. Ha colpito le spiagge della Tunisia e recentemente quelle di Hurghada. Dalla Francia al Maghreb ha versato sangue in teatri, ristoranti, musei e alberghi. Una scia di orrore che giunge fino alle sponde del Bosforo dove nella mattina di martedì un kamikaze di origine siriana si è fatto esplodere in piazza Sultanahmet a pochi metri dalla Moschea Blu e da Santa Sofia, lasciando sul selciato dove si erge l’obelisco di Teodosio una fila di cadaveri, quasi tutti di nazionalità tedesca. La strage al cuore della vecchia Bisanzio porta la firma dei miliziani del Califfato. La Turchia è una delle destinazioni turistiche più visitate del Mediterraneo, il fascino che emana Istanbul incanta ancor oggi i viaggiatori di tutto il mondo. Crocevia di storia e civiltà, dagli antichi Ittiti ai Romani, dall’Impero di Bisanzio a quello ottomano. Un paese moderno forgiato da un solo uomo Ataturk che alla fine della Prima Guerra mondiale, dalle macerie di un’impero multinazionale e multireligioso, ha costruito una nazione laica e protoccidentale. Quasi un secolo dopo l’identità della porta d’ingresso all’Europa è ancora sfuggente e contraddittoria. Un paese in bilico, fragile e conflittuale. Terra di passaggio per coloro che sono in fuga, ospita oltre due milioni di profughi. Ostinatamente rifiuta di ammettere le proprie responsabilità nei confronti dello sterminio degli armeni; continua ad opporsi strenuamente alla nascita di uno stato curdo; è “pesantemente compromessa” nella questione siriana, rappresentando una base logistica sicura per coloro che in Siria combattono nel nome del Califfato. Una relazione pericolosa quella tra Turchia e Stato Islamico che ha esposto il governo di Ankara a forti critiche e pressioni internazionali. Qualcosa però stava cambiando negli assetti geopolitici, pochi giorni fa la polizia turca aveva dichiarato di aver effettuato arresti ed espulsioni di simpatizzanti Isis provenienti dall’Europa, potenziali foreign fighters. E poi l’annuncio, meno di 24 ore prima dell’attentato di Istanbul, di aver scoperto una rete terroristica pronta a colpire su vasta scala le capitali del Vecchio Continente. Ebbene, esaminando gli episodi drammatici degli ultimi dodici mesi è evidente l’evoluzione strategica di un conflitto asimmetrico che l’intelligence non è in grado ancora di prevenire. Significativa la modalità d’azione eseguita negli attentati compiuti: meticolosa programmazione, indice di ricerca, preparazione nei dettagli e nel bersaglio da colpire. Non c’è improvvisazione in questa macchina della morte, ma fredda lucidità. È un salto di qualità del terrorismo islamico. L’obbiettivo finale è diffondere il caos. Non è la prima volta che l’Occidente è attraversato dal terrore, ideologie aberranti hanno reclutato, indottrinato, addestrato e mandato ad uccidere già altre volte. Tuttavia l’Isis ha consolidato in questi mesi la supremazia tra le organizzazioni terroristiche, è arrivata dove altri avevano in passato fallito: toglierci la tranquillità, infondere la paura generale. La guerra santa dell’Isis è globale, ma ha un fondamento politico e militare nell’area siro-irachena. La prossimità con la Turchia allarga il territorio dove girano liberamente i proseliti di Daesh e dove, tra le maglie dei migranti, sono reclutati terroristi per compiere missioni assegnate in altri paesi, inclusa l’Europa. Ecco, quindi, che il terrorismo islamico lega dinamiche regionali a effetti internazionali con risultati devastanti. Dietro a convergenze politiche, accordi da bazar, sfere d’influenza, c’è il disegno per imporre l’egemonia sul futuro Medioriente. Le ambizioni del “sultano” Erdogan di riaffermare il ruolo della Sublime Porta vacillano sotto le ambiguità dei misteri che lo legano al “califfo” Abu Bakr Al Baghdadi. Intanto nel Bosforo risuona la prima esplosione e domani rischiamo di dover commentare una nuova pagina di terrore.